a cura di Marco Mangani
Nel 2006, in occasione del 250esimo anniversario della nascita di Mozart, abbiamo percorso in dieci trasmissioni il mito di Don Giovanni, dalle origini secentesche allo sfaldamento. Don Giovanni è un mito moderno. Come Faust. C’è tuttavia una differenza sostanziale: se oggi viviamo il mito di Don Giovanni come universale, se fa parte della nostra conversazione e dei nostri luoghi comuni, ciò si deve non a un poeta, ma a un musicista.
Si dice Faust, e si pensa a Goethe; poi, certo, ci sono i Berlioz, i Gounod: ma quel mito, che affonda le radici in tempi lontani, è diventato universale perché Goethe ha deciso di cantarlo. E di farne un progetto immenso, epocale. Anzi, trans-epocale: il medioevo tedesco e cristiano che si salda con l’antichità pagana e definisce i contorni dell’Occidente.
Si dice Don Giovanni, e si pensa a Mozart; certo, c’erano stati lo pseudo Tirso, Molière; ci saranno Lenau, Baudelaire: ma nella coscienza comune il mito di Don Giovanni coincide con la realizzazione mozartiana. E se non è un mito trans-epocale, non per questo è meno universale.
In origine, quello di Don Giovanni è un mito cattolico. Nasce, cresce e si sviluppa nel mondo cattolico: e solo lì può trovare quel particolare intreccio di peccato, mancato pentimento e dannazione che ne costituisce il nutrimento. Questo, mi sembra, è uno degli elementi che spiegano perché sia toccato al teatro dell’opera, altro fenomeno radicato nel mondo cattolico, di eternare il mito di Don Giovanni. Ma non basta.
Da sempre, l’Occidente ha avuto con l’arte dei suoni un rapporto controverso: ne ha venerato le potenzialità astratte (Pitagora, l’armonia delle sfere), ma ne ha talvolta temuto l’azione diretta sui sensi. Per un Orfeo che placa le furie, per un Sant’Agostino che esalta nel canto la fede che sgorga dal cuore, ci sono filosofie altrettanto forti che proprio in questo rapporto col senso vedono un pericolo; comunque, un limite. Da ultimo Kant, per il quale la musica “non offre niente alla riflessione” ed è “più godimento che cultura”. Illuminante! Capiamo, grazie a Kant, perché Don Giovanni è un mito musicale, a differenza di Faust. Faust si nutre di filosofia; è intriso di filosofia: solo la parola, che passa per il vaglio dell’intelletto, può esprimere appieno il mito di Faust. Don Giovanni non ha bisogno della filosofia: semmai è lei che non può più fare a meno di lui. Di per sé, Don Giovanni è senso: è (ohibò!) “godimento”. E dunque il linguaggio di Don Giovanni è l’arte sensibile, sensuale per eccellenza: è la musica. La conseguenza di ciò è che, nelle mani di Mozart, il mito va ben oltre le radici di cui si è detto. Perché la musica ha i suoi significati, ma una cosa è certa: il suo punto di forza è l’ambiguità. Nelle mani di Mozart, Don Giovanni diviene un mito ambiguo: inutile discutere su chi, tra punito e punitore, riscuota le simpatie del musicista. Cattolico o illuminista?
Temuto dalla Restaurazione, amato da Kierkegaard, il Don Giovanni di Mozart ammette infinite risposte. In questo ciclo vedremo il formarsi e il trasformarsi dei singoli personaggi della vicenda, proiettandoci a raggiera dalle incarnazioni mozartiane. Leggeremo grandi pagine. Ascolteremo grandi interpreti.
Marco Mangani
01/06/2006